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Il Presidente Mattarella inaugura l’anno accademico all’Università di Messina. Conferito Dottorato Honoris Causa (Il discorso integrale)

L’Università degli Studi di Messina ha conferito al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Dottorato honoris causa in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2024/2025 dell’Ateneo, che si è svolta al Teatro Vittorio Emanuele.

Nel corso della cerimonia sono intervenuti la Rettrice dell’Università, Giovanna Spatari, Domenico Quartarone, Rappresentante del personale tecnico – amministrativo e Chiara Furlan, Rappresentante degli studenti.

La laudatio honoris causa è stata svolta da Gaetano Silvestri, Presidente emerito della Corte Costituzionale e Professore emerito di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Messina.

La consegna al Presidente Mattarella del diploma di Dottorato honoris causa e del sigillo dell’Ateneo è stata preceduta dalla lettura delle motivazioni del conferimento da parte Daniela Novarese, Coordinatrice del Corso di Dottorato in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni e dalla proclamatio doctoralis honoris causa da parte della Rettrice dell’Ateneo.

La cerimonia si è conclusa con la Lectio doctoralis del Presidente della Repubblica.

Di seguito l’intervento integrale del Presidente:

Rivolgo un saluto al Presidente della Regione, alle Autorità presenti, al Sindaco di Messina e, attraverso di lui, ai suoi concittadini.

Un saluto a tutti i presenti e un augurio di buon anno accademico alla Magnifica Rettrice – che ringrazio molto anzitutto per l’invito a essere presente per questa occasione di apertura dell’anno accademico – al Corpo accademico, al personale tecnico-amministrativo – di cui abbiamo poc’anzi ascoltato la voce -,  particolarmente alle studentesse e agli studenti che poc’anzi sono stati così ben rappresentati e che sono il centro, la ragione di essere di questo Ateneo, come di ogni altra Università. Buon anno accademico a tutti.

Vorrei ringraziare molto l’Ateneo di Messina per l’onore che mi viene conferito, per il Dottorato honoris causa. Ripeto, ne avverto l’onore, e sono riconoscente all’Università.

Ringrazio molto la Professoressa Novarese per il conferimento. Ringrazio il Professor Gaetano Silvestri, mio autorevole Presidente alla Corte costituzionale, per avere pronunciato una laudatiocosì generosa.

Nel quadro dei ricordi che l’Ateneo ha promosso dei giorni del ‘55 qui a Messina, vorrei esporre ai presenti nell’Ateneo alcune riflessioni sull’amministrazione dell’Unione europea, iniziando con il ricordare che il processo di integrazione istituzionale tra gli Stati europei ha avuto inizio – come è noto – il 23 luglio 1952, con il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, firmato a Parigi il 18 aprile 1951 da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Quel Trattato ha avuto origine da un’idea di Jean Monnet, fatta propria da Robert Schuman, Ministro degli esteri francese, con la presentazione di un piano che porta il suo nome il 9 maggio 1950. La proposta fu rapidamente accettata dai sei Paesi e, in meno di un anno, il Trattato fu ratificato.

Ma perché proprio il carbone e l’acciaio?

Va sottolineato che si trattava dell’energia e della base degli armamenti.

A ben vedere, è come se cinquant’anni dopo alcuni Paesi avessero posto in comune petrolio e armamenti nucleari.

La scelta era storicamente motivata da due fattori fondamentali. I principali giacimenti di carbone erano situati in un’ampia zona di confine a lungo contesa tra Francia e Germania e oggetto di numerosi e sanguinosi conflitti. L’acciaio, inoltre, era una risorsa fondamentale per la produzione di armamenti e l’accordo impediva a entrambi i Paesi di riarmarsi in segreto.

L’economia era lo strumento ma il fine del Trattato era la pace, una pace solida e duratura dopo la tragedia delle due guerre mondiali e dei tanti conflitti precedenti.

L’economia e la pace continuarono ad essere al centro del disegno europeo, malgrado il voto contrario del Parlamento francese alla Comunità europea di difesa, e – dopo il decisivo incontro dei loro ministri degli Esteri qui, a Messina, nel giugno 1955, su invito di Gaetano Martino – il 25 marzo 1957 i sei Stati firmarono a Roma i Trattati istitutivi della Comunità economica europea e dell’Euratom.

Veniva così definita l’architettura di un mercato comune basato sulla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, caratterizzato da condizioni di concorrenza non falsate né dagli attori economici né dai poteri pubblici. Il progetto si ampliava molto ma l’obiettivo rimaneva lo stesso: avviare un’era di pace e di benessere fondata sulla cooperazione tra gli Stati e sull’amicizia tra i popoli europei.

Il processo di integrazione si è progressivamente allargato a una pluralità di altri ambiti ai quali in questa occasione non è possibile accennare. Desidero invece porre l’attenzione su un tema che ha assunto progressivamente un rilievo crescente: l’attuazione delle norme prodotte dalle istituzioni dell’Unione in ambito europeo e nazionale.

Questa azione della Unione Europea persegue principalmente politiche pubbliche, il cui esercizio dipende ampiamente da meccanismi di tipo amministrativo.

L’Unione non possiede tuttavia un proprio apparato amministrativo, un’organizzazione preposta allo svolgimento di funzioni pubbliche attraverso l’applicazione di leggi “europee”.

Per definire l’originalità del modello europeo è invalso il termine di “sistema di governo multilivello”, che si configura quando un’autorità di livello superiore agli Stati adotta regole destinate ad acquisire efficacia all’interno degli Stati, secondo il meccanismo del c.d. governo indiretto, già fatto proprio da altri ordinamenti di common law.

Secondo la celebre espressione di Jean Monnet, “La comunità europea è un apparato che agisce, ma soprattutto che fa agire” nella visione tradizionale l’applicazione del diritto unionale è essenzialmente compito degli Stati membri da attuarsi secondo il proprio diritto costituzionale.

In una prima fase l’Unione europea si fondava in effetti prevalentemente sull’amministrazione indiretta ed erano gli apparati nazionali a dare esecuzione alle regole europee.

Le forme di esecuzione diretta del diritto comunitario da parte delle istituzioni europee erano invece piuttosto esigue e limitate ad alcuni settori: concorrenza, aiuti di Stato, gestione di taluni fondi strutturali, il personale dell’amministrazione comunitaria.

L’effettività del diritto comunitario veniva quindi a dipendere in larga misura dai singoli apparati statali e ciò comportava inevitabilmente un certo grado di disomogeneità applicativa.

Col tempo sono stati sviluppati meccanismi di vigilanza e un livello di cooperazione e di intreccio crescenti tra il livello dell’amministrazione europea e quello delle pubbliche amministrazioni nazionali.

Basti pensare al caso delle autorità nazionali indipendenti con compiti di regolazione e vigilanza che, in coordinamento tra loro e con le Autorità europee o la Commissione, nelle materie di propria competenza, assicurano l’attuazione e il rispetto di normative europee, operando come organismi decentrati di quelli dell’Unione.

Parallelamente all’evoluzione delle competenze dell’Unione, vi è stato un adattamento dei processi amministrativi, contraddistinto da un livello di integrazione sempre maggiore, finalizzato ad assicurare un’applicazione effettiva e uniforme delle regole comunitarie.

Per quanto riguarda il profilo organizzativo, l’integrazione si è realizzata con la creazione di organismi nei quali gli interessi nazionali vengono rappresentati e tutelati attraverso processi decisionali europei.

Significativa ed emblematica del procedere dell’integrazione è l’evoluzione dei Comitati: sorti come strumento di controllo degli Stati membri sull’azione della Commissione si sono trasformati in luogo di incontro e di scambio di conoscenze e di expertise tra l’amministrazione europea e quelle nazionali, nonché di cogestione dei processi attuativi del diritto dell’Unione.

L’integrazione si è sviluppata anche sotto il profilo procedimentale. Sono stati definiti procedimenti misti, con l’adozione in sequenza di atti delle autorità nazionali e dell’amministrazione europea tra loro connessi in vista dell’assunzione di una decisione finale comune.

Allo stesso tempo, l’amministrazione indiretta è stata sottoposta a vigilanza, controlli, vincoli sempre più penetranti allo scopo di uniformare l’azione degli Stati.

L’aspetto più interessante è la tendenza a creare discipline comuni e unitarie prodotte da fonti e aventi ad oggetto attività di genere diverso. 

L’interazione tra livello comunitario e livello nazionale è divenuta così intensa da rendere difficile individuare una linea di separazione tra i due sistemi.

Un esempio significativo di esecuzione congiunta delle normative unionali si è realizzato nel settore della concorrenza. Uno dei tradizionali ambiti di amministrazione diretta della Comunità per quanto riguarda le violazioni transfrontaliere.

Nel 2003 si è realizzato un sistema di competenze parallele al quale sono ora congiuntamente preposte la Commissione e le Autorità nazionali. La titolarità della competenza rimane in capo alla Commissione, ma essa la esercita avvalendosi della cooperazione delle Autorità nazionali, dando vita a un unico sistema integrato.

Gli Stati, da semplici destinatari delle norme, hanno assunto un ruolo attivo nella loro applicazione.

L’integrazione si basa su regole e procedure ma acquista maggior concretezza soprattutto attraverso le relazioni personali. Costituisce pertanto una decisione estremamente positiva, quella di dare la possibilità ai funzionari delle pubbliche amministrazioni degli Stati membri di prestare temporaneamente la loro attività, in qualità di Esperti nazionali distaccati, presso le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione europea.

La collaborazione e l’interazione tra le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri non è peraltro limitata all’ambito amministrativo. In materia di aiuti di Stato, la cooperazione si realizza tra Commissione, Autorità di tutela della concorrenza e Corti nazionali. L’Istituzione europea può presentare memorie scritte e formulare oralmente osservazioni dinanzi ai giudici nazionali, mentre questi ultimi hanno la facoltà di chiedere alla Commissione di trasmettere loro “le informazioni in suo possesso o i suoi pareri su questioni relative all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato”.

Forme peculiari di cooperazione riguardano anche il settore dell’amministrazione fiscale, ove sono previsti obblighi e strumenti di reciproca cooperazione funzionali all’accertamento dei dati fiscali e allo scambio dei medesimi tra le diverse amministrazioni nazionali, al fine di assicurare l’esercizio efficace delle funzioni tributarie. In tal caso l’integrazione si realizza in modalità orizzontale e gli apparati finanziari di uno Stato membro divengono strumento per l’accertamento fiscale di un’altra amministrazione statale.

Fortemente integrata risulta anche l’amministrazione bancaria europea.

La Banca d’Italia esercita le proprie funzioni di regolazione e di vigilanza bancaria nell’ambito del sistema europeo delle banche centrali con a capo la Banca centrale europea. Ad esempio, l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività creditizia viene concessa attraverso un procedimento bifasico, caratterizzato dall’intervento di due livelli amministrativi, europeo e nazionale.

Le competenze dei due livelli amministrativi si fondono e le competenze proprie delle autorità nazionali vengono esercitate in modo tale da consentire all’autorità europea di intervenire nei casi in cui si riveli necessario al fine di tutelare l’interesse comunitario.

In linea generale, l’Unione ha sviluppato la tendenza ad operare attraverso processi di programmazione che si svolgono in parte a livello europeo e in parte a livello nazionale.

Valga per tutti l’esempio del programma Next Generation UE del 2021, un complesso di riforme e investimenti concepito, come è noto, per contrastare gli effetti della pandemia COVID 19 sulle economie e le società dei Paesi membri, articolato in piani nazionali, redatti in base a regole europee, approvati dall’Unione europea ed attuati sotto la sua vigilanza.

Nel tempo, la linea di demarcazione tra amministrazione diretta e indiretta si è andata sempre più assottigliando. Ciò è dovuto, come si è visto, al moltiplicarsi dei casi di esercizio congiunto delle funzioni da parte di enti ed organismi amministrativi nazionali ed europei, tenuti a cooperare tra loro.

Merita di essere sottolineato come questo comporti che l’amministrazione europea, e quindi l’attuazione del diritto unionale, siano la risultante di una convergente attività, del dialogo e della collaborazione che intercorrono tra istituzioni europee e nazionali.

La multiforme integrazione tra amministrazione europea e amministrazioni nazionali ha accresciuto il grado di effettività e reso assai più omogenea l’applicazione del diritto dell’Unione europea.

Va tenuto presente che la maggiore efficienza della macchina amministrativa, l’intensificarsi dei controlli e il rafforzamento dei poteri amministrativi richiedono di essere accompagnati da meccanismi idonei a tutelare i cittadini e le imprese. Si tratta di un aspetto al quale occorre porre sempre una costante attenzione nel perseguire l’obiettivo di un’Unione sempre più piena espressione dei cittadini europei.

Il diritto europeo, sotto altro profilo, ha fornito nel tempo un rilevante contributo all’omogeneizzazione del diritto amministrativo degli Stati membri, esercitando una profonda influenza anche per quanto riguarda la disciplina dei rapporti tra potere pubblico e cittadini.

Il diritto europeo mutua dai diritti amministrativi nazionali elementi per la definizione di proprie regole e principi ed enuclea, a sua volta, una serie di valori, principi e criteri che tendono ad armonizzare le legislazioni nazionali.

L’articolo 4 del Trattato sull’Unione europea enuncia il principio di leale collaborazione nell’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati e lo declina.

A partire dalla seconda metà degli anni ’80 e soprattutto negli anni ’90, ha avuto inizio un processo di riforma degli apparati degli Stati membri in chiave europea e una parallela evoluzione dell’amministrazione europea.

Viene valorizzata la partecipazione pubblica, incentivata la cooperazione tra i Governi nazionali, attribuito il valore di diritti primari alle regole sulla cittadinanza amministrativa.

All’Unione vengono riconosciute nuove competenze nell’ambito della pubblica amministrazione e dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e amministrati.

Con il Trattato di Lisbona è stata dedicata, per la prima volta, una specifica attenzione alla questione amministrativa.

Questa, sino a quel momento considerata materia di competenza nazionale, diviene “questione di interesse comune”, con l’osmosi tra le pratiche amministrative, la verificabilità dei risultati secondo parametri sovranazionali, la formazione necessariamente similare del personale pubblico.

Fondamentale è la disposizione secondo cui “l’attuazione effettiva del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell’Unione, è considerata questione di interesse comune”. Una formulazione idonea a consentire alla Commissione di intervenire sull’azione degli Stati e alla Corte di giustizia di avallare tali interventi.

Allo stesso modo, il diritto del bilancio, tradizionalmente riservato al nucleo duro della sovranità statale, è stato conformato dai parametri europei al fine del conseguimento di obiettivi comuni e condivisi di governo dei conti pubblici.

Tale processo è culminato nella costituzionalizzazione dei precetti dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico, sulla base di apposite “clausole” di “apertura” al diritto dell’Unione europea, non a caso inserite anche nella nostra Costituzione, nella parte dedicata alla “Pubblica amministrazione”.

Tra le concrete iniziative promosse dall’Unione, si può ricordare la recente  Comunicazione della Commissione sul rafforzamento dello spazio amministrativo europeo, del 25 ottobre 2023: nell’osservare come per l’attuazione dell’agenda politica europea siano essenziali pubbliche amministrazioni di alta qualità, capaci e resilienti negli Stati membri, ha promosso un piano in favore delle amministrazioni nazionali fondato su tre pilastri: a) l’agenda per le competenze della pubblica amministrazione, per promuovere la cooperazione tra le amministrazioni, a tutti i livelli, al fine di promuovere lo sviluppo della forza lavoro; b) capacità per il decennio digitale europeo, per rafforzare la capacità delle amministrazioni in vista della loro trasformazione digitale; c) capacità di guidare la transizione verde, per rafforzare la capacità delle amministrazioni anche per tale aspetto.

Il trattato di Lisbona ha inoltre sancito l’esplicito riconoscimento dell’amministrazione diretta dell’Unione, prevedendo che: “nell’assolvere i loro compiti istituzioni, organi e organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta efficace ed indipendente”.

L’amministrazione dell’Unione viene disciplinata sulla base dei principi di apertura dell’amministrazione, efficienza e indipendenza. Di particolare interesse è il riferimento alla “indipendenza amministrativa”, che è stato interpretato nel senso di una legittimazione tecnica (azione in piena indipendenza ed obiettività) che esclude qualsivoglia forma di condizionamento dalle istituzioni od organi dell’Unione, da parte degli Stati membri o da altro soggetto pubblico o privato.

La circostanza che l‘indipendenza sia diventata una caratteristica generale dell’amministrazione dell’Unione determina, per ciò stesso, una sollecitazione a fare in modo che la medesima caratteristica valga progressivamente anche per le amministrazioni nazionali.

L’amministrazione europea ha avuto uno straordinario impulso con l’adozione, a Nizza, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che, con il Trattato di Lisbona – pur nella peculiarità dell’ordinamento comunitario, non assimilabile a un ordinamento nazionale – ha assunto il ruolo di un atto di rango costituzionale, con norme alla base dell’intero sistema unionale.

L’articolo 41 della Carta enuncia il Diritto a una buona amministrazione che si sostanzia nella garanzia per ogni cittadino del diritto a un trattamento imparziale ed equo del proprio interesse, da assicurarsi entro un termine ragionevole.

La Carta, inoltre, fa assurgere il diritto di accesso a diritto civile fondamentale.

Il diritto europeo esercita una forza di attrazione nei confronti dei diritti nazionali, li spinge ad adeguarsi, anche tramite l’azione delle Corti, agli standard di tutela propri dell’Unione.

Per quanto riguarda il nostro Paese, emerge una piena sintonia tra il diritto europeo di buona amministrazione e gli istituti disciplinati dalla legge sul procedimento amministrativo, a ulteriore conferma di come diritto unionale e diritto nazionale si condizionino reciprocamente e si sviluppino concordemente.

Il principio, interno ed unionale, di buona amministrazione appare paradigmatico del processo di integrazione europea. La sua attuazione ha progressivamente plasmato e conformato gli ordinamenti statali sul versante normativo e amministrativo, senza stravolgere le identità nazionali ma valorizzando i profili comuni delle rispettive culture giuridiche.

Non è fuor di luogo sottolineare come il diritto europeo eserciti un ruolo anche ai fini della determinazione di regole internazionali, come è avvenuto, nel 2022, con il Regolamento dei servizi digitali, a difesa dei diritti degli utenti e della sicurezza e affidabilità delle diffusioni digitali.

L’amministrazione europea e l’esercizio sempre più integrato e sempre più esteso di compiti amministrativi da parte delle istituzioni europee e nazionali, hanno prodotto risultati di grande rilievo di cui, talvolta, non sembra esservi consapevolezza.

Durante la pandemia da COVID 19, la Commissione, agendo per conto di tutti gli Stati membri, ha negoziato la fornitura di grandi quantità di vaccini e li ha ottenuti in tempi estremamente rapidi.

Tutti conoscono il progetto Erasmus, finanziato dalla Commissione, che consente a un sempre più nutrito numero di studenti europei di frequentare l’università anche in un altro Stato membro. Con il tempo si sono sviluppate alleanze e forme di collaborazione tra le università di diversi Paesi membri. Attualmente, tra i finanziamenti più cospicui per le ricerche universitarie vi sono quelli assegnati dalla Commissione europea.

Oggi siamo molto più sicuri della nostra alimentazione perché l’Unione europea impone standard rigorosi di sicurezza alimentare e si preoccupa di assicurare controlli diffusi ed efficaci.

Ci sentiamo sicuri anche per quanto riguarda i farmaci e la loro sperimentazione, in virtù del coordinamento tra le agenzie del farmaco dei diversi Stati dell’Unione.

La proprietà intellettuale è protetta a livello europeo e questo ne rafforza la tutela.

I nostri voli sono sicuri, per via delle regole imposte dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea. Grazie ad accordi conclusi in ambito europeo possiamo viaggiare senza passaporto e senza sostenere costi aggiuntivi per telefonare.

La criminalità viene contrastata con maggiore efficacia, aumentando la nostra sicurezza, in conseguenza delle diverse forme di cooperazione rafforzata che siamo riusciti a realizzare tra le forze di polizia dei Paesi membri.

Questo, naturalmente, non significa ignorare i limiti delle regole europee. Bisogna esserne consapevoli e impegnarsi nel rimuoverli e superarli, agendo con sempre maggiore efficacia per migliorare il funzionamento delle istituzioni dell’Unione.

Dall’esame dell’attuale assetto dell’amministrazione europea e dei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali emerge, quindi, la tendenza a una progressiva convergenza tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali.

Ciò appare dovuto alla natura dei fenomeni e delle questioni emergenti oggetto dell’azione amministrativa.

 Il cambiamento climatico, la crisi energetica, la carenza di materie prime essenziali per lo sviluppo tecnologico, i movimenti migratori, la transizione digitale, la difesa, la cybersicurezza non sono problemi risolvibili autonomamente dagli Stati nazionali ma richiedono l’interazione tra parlamenti, esecutivi e amministrazioni nazionali, europee e, se possibile, sovranazionali.

L’ordinamento europeo è andato incontro ad un progressivo accrescimento di tali interazioni, dimostrando di essere un sistema aperto, flessibile, capace di individuare nuove soluzioni e nuove forme organizzative e procedimentali.

Ad oggi, potremmo dire per “stato di necessità” e, per evidenti e non eludibili ragioni, le politiche di carattere economico, sociale, sanitario, ambientale di rilievo nazionale hanno assunto una dimensione europea.

La tendenza è quella di garantire la coerenza, la composizione e la continuità tra procedure e diritti nazionali e quelli dell’Unione, in funzione della transizione verso nuove forme ordinamentali di portata generale e di natura fondamentalmente unitaria. Il programma Next Generation UE è probabilmente l’espressione più compiuta di questo orientamento.

D’altro canto, nelle società complesse l’azione amministrativa è costretta a farsi carico della valutazione dei nuovi rischi causati dall’attività umana, rischi ambientali, sanitari, finanziari.

In questo contesto, soltanto attraverso lo stretto coordinamento dei sistemi amministrativi nazionali è possibile assicurare misure di efficace contrasto alle crisi – di natura economico-finanziaria, migratoria, sanitaria, energetica – e risposte adeguate alle sfide della globalizzazione.

L’evoluzione registrata e l’attuale configurazione dei diritti fondamentali in tema di amministrazione appaiono innanzitutto legate agli elementi comuni delle tradizioni costituzionali degli Stati membri che, come noto, rappresentano la pietra angolare della costituzione europea. Tra tradizioni nazionali e costituzionalismo europeo si è stabilito una sorta di circolo virtuoso che ne determina il rispettivo e convergente sviluppo.

Il presente assetto dell’amministrazione europea sconta tuttavia l’assenza di uno spazio politico europeo effettivamente integrato, di soggetti politici realmente di livello europeo, di un’opinione pubblica europea che non si riduca alla semplice sommatoria delle diverse sensibilità nazionali.

Nei singoli contesti nazionali si continua troppo spesso a considerare l’Unione europea come un soggetto estraneo agli Stati membri e non – quale effettivamente essa è – come il prodotto della loro interazione e cooperazione, costruita nel tempo sulla base di scelte democraticamente assunte, volontariamente, dai parlamenti e dai governi nazionali; e dalle istituzioni europee, anch’esse costituite ed operanti per volontà e con il contributo fondamentale degli Stati nazionali.

La limitata coscienza politica, che l’Unione ha di sé stessa, condiziona il suo operare concreto e la rende troppo spesso non adeguatamente risoluta – e quindi tempestiva – dinanzi alle grandi sfide che gli Stati e i popoli europei si trovano ad affrontare.

Eppure, quanto sta avvenendo a livello internazionale, dove prevalgono dinamiche fortemente conflittuali e perfino distruttive, fa emergere, per contrasto, la decisiva importanza della comunanza di valori e di principi che rendono gli Stati europei naturalmente vicini e necessariamente solidali nell’affermare i valori di democrazia, dignità umana, libertà, equità sociale, pace.

Si è soliti affermare che l’Unione europea si è costruita e si costruisce nei momenti di crisi e di emergenza.  Questo è, in parte, certamente vero.

In tempi recenti, la crisi finanziaria e la pandemia sono state l’occasione per compiere scelte coraggiose, superando concezioni miopi dell’identità e dell’interesse nazionale,

Questa attitudine non appare tuttavia più sufficiente. Il tornante della storia che stiamo attraversando richiede di trarre le dovute conseguenze dalla consapevolezza che gli Stati europei singolarmente non sono in grado di fornire risposte adeguate alle sfide del presente.

Nel marzo 2017, sono stati celebrati a Roma i sessant’anni dalla firma dei Trattati d’origine. In quella occasione, rivolgendo un saluto ai Capi di Stato e di Governo presenti, mi sono permesso di dire che i Paesi dell’Unione si dividono in due categorie: i Paesi piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi.

Soltanto uniti potranno continuare ad assicurare ai loro cittadini, come avviene da oltre settant’anni, un futuro di pace e di diffuso benessere.

Auguri di buon anno accademico!

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