E’ una sentenza che smonta l’articolato ricorso proposto dalla candidata al consiglio comunale Rita Fachile e dal presidente del circolo Pd Enzo Canonico, cui i giudici hanno concesso il beneficio del riconoscimento di una normativa definita testualmente “modificata ed integrata dal legislatore con interventi talvolta poco coordinati e comunque con una tecnica redazionale spesso astrusa, o poco chiara, e quindi fonte di vari problemi di natura interpretativa”. Il Tar di Catania non lascia dunque adito ad interpretazioni di sorta. L’impostazione dei ricorrenti, secondo i giudici Ferlisi, Guzzardi e Cumin, non è condivisibile ed il ricorso privo di fondamento giuridico.
Leggendo con attenzione le sedici pagine del provvedimento emesso dalla terza sezione del tribunale amministrativo di Catania si rilevano alcuni passaggi chiave delle motivazioni che hanno portato al rigetto del ricorso. Il Tar, dopo aver dettagliatamente ripercorso la genesi delle normative elettorali regionali, riconosce che “l’ufficio elettorale ha ritenuto non verificatasi una delle due condizioni espressamente prevista, sia dall’art. 4, comma 6, sia dall’art. 2 ter, comma 7, della L.r. n. 35/1997, come modificata ed integrata con L.r. n. 6/2011”. Respinta dunque la ricostruzione, presentata dai ricorrenti, secondo cui l’attribuzione del premio di maggioranza al candidato sindaco eletto a primo turno sarebbe espressamente subordinata alla sola condizione che lo stesso abbia superato il 40% dei voti, non anche alla seconda condizione ritenuta necessaria dall’Ufficio elettorale (mancato conseguimento da del 50% +1 dei voti parte delle liste non collegate. Questa supposizione faceva riferimento alla disciplina del premio di maggioranza, che viene indistintamente riferita tutti i comuni oltre “10 mila abitanti” dalla L.r. n. 35/1997 che sancisce per il candidato sindaco eletto un premio di maggioranza legato all’altra condizione: che le liste collegate al sindaco eletto, abbiano raggiunto almeno il 40% dei voti validi. Il collegio giudicante ha però ritenuto che quest’ultima parte del comma 6 dell’art. 4 non possa essere letta nel senso voluto dai ricorrenti, ma debba essere intesa nella sua obiettiva portata logico-sistematica perché, si legge testualmente nella sentenza : “la norma pur riferita indistintamente ai comuni con oltre 10.000 abitanti parla di elezione a “primo turno” presupponendo quindi l’esistenza di un sistema di elezione del sindaco a turno doppio (salva l’elezione a primo turno con la maggioranza assoluta dei voti); situazioni queste che per i comuni della fascia intermedia (come Sant’ Agata di Militello) non sono più previste, essendo detti comuni regolamentati interamente dalle previsioni di cui agli artt. 2-bis e 2-ter prima citati (elezione del sindaco a maggioranza relativa ed in turno unico)”. Per queste ragioni, sancisce il Tar, “la formulazione dell’ultima parte del comma 6 dell’art. 4 su cui tanto insistono i ricorrenti risulta, per la detta fascia dei comuni intermedi, essere – di fatto – priva dei suoi naturali presupposti giuridici”. Ai fini di tale conclusione, il Tar rileva invece fondante il rilievo proposto dalle parti resistenti in giudizio (il presidente del consiglio Antonio Scurria ed i consiglieri Achille Befumo, Salvatore D’Angelo, Valeria Fazio Elisa Gumina, Domenico Barbuzza e Salvatore Sanna, rappresentati dagli avvocati Massimiliano Fabio, Carla Giuffrida, Alessandro Pruiti Ciarello, Salvatore Sanna e Marcello Scurria) che hanno eccepito come “all’esigenza di governabilità connessa all’attribuzione del premio di maggioranza alla lista collegata al Sindaco eletto, (ancorchè eventualmente minoritaria rispetto ad altra lista avversaria), il legislatore ha inteso porre un preciso temperamento ed un correttivo per evitare la formazione di una maggioranza consiliare in palese contraddizione con la volontà democraticamente espressa dal corpo elettorale”. A confermare tale impostazione, anche lo stesso istituto del “voto disgiunto”, “che implica – scrive il tar – che sia del tutto normale che in consiglio si determini una maggioranza contrapposta al sindaco eletto(…); sicché la scelta del legislatore di escludere o di assicurare in taluni casi e non in altri la maggioranza in consiglio al sindaco risultato eletto, rientra in una libera scelta discrezionale che in definitiva può anche essere finalizzata a stimolare i candidati sindaci a collegarsi a liste che abbiano un effettivo consenso nell’elettorato, anziché confidare solamente o prevalentemente sul proprio prestigio personale”. In sintesi, il tribunale amministrativo afferma che “la governabilità dell’ente locale non può essere assunta come un valore assoluto, ma va apprezzata come valore specificamente tutelabile (giustificandosi la alterazione del criterio proporzionale) soltanto nel caso, di maggior allarme, della frammentazione dei consensi espressi; il sindaco “forte” (perché eletto al primo turno), ma collegato ad una lista “debole” (nel senso che non raggiunge anch’essa la maggioranza dei consensi al primo turno), risulta in qualche modo penalizzato (come si è fatto cenno nel corso della discussione parlamentare) per un collegamento rifiutato da una parte del suo elettorato che, pur votando lui, non ha però votato anche la sua lista o addirittura ha votato per una lista contrapposta. In questa situazione il sindaco dovrà cercare una maggioranza in consiglio perché l’elettorato, utilizzando la possibilità di voto disgiunto, non gliel’ha assicurata”. Ultima parte del ricorso elettorale smontata dal tar è infine quella relativa a presunti vizi di incostituzionalità dell’articolo 2bis della legge 35 del 1997 sollevati dai ricorrenti. “Questa eccezione, sentenzia il Tar, risulta manifestamente infondata “in relazione anche alle precedenti considerazioni ed al prudente bilanciamento di contrapposti interessi (quali la governabilità e la effettiva rappresentatività del corpo elettorale) cui il legislatore è tenuto a fare fronte”